La stretta sugli scioperi per i siti di alto interesse culturale e turistico era pronta da tempo. Forse per questo sono bastate 2 ore al consiglio dei ministri per mettere a punto il decreto che prevede anche la precettazione da parte del garante per i dipendenti di musei e luoghi storici, esattamente come quelli di trasporto, scuole e ospedali. A far scatenare il blitz è stato il caos di venerdì mattina al Colosseo, chiuso per tre ore a causa di un’assemblea sindacale. Turisti stranieri nel caos, figuraccia mondiale. Ma c’è un però: l’assemblea era stata annunciata (e concessa) da una settimana, per discutere il problema degli straordinari e festivi non pagati da un anno. Perché dunque il governo si è svegliato solo a disastro già avvenuto? Il 24 luglio era successa più o meno la stessa cosa agli scavi di Pompei, con altra figuraccia turistica. Perché non fare nulla fino a oggi?
Il dubbio, sollevato dal retroscena di Ugo Magri sulla Stampa, è che in realtà Palazzo Chigi non aspettasse altro che un buon pretesto per tirare fuori la pistola, già carica, dal cassetto e puntarla alla tempia di Susanna Camusso, della Cgil e degli altri sindacati, con cui da mesi ha ingaggiato un corpo a corpo durissimo. Come sempre, il premier Matteo Renzi ama agire sull’onda emotiva dello sdegno o dell’entusiasmo. In questo caso, la prima opzione. Però, scrive Magri, il piano è stato preparato meticolosamente. Le tre righe in un solo articolo che modificano la legge 146 del 1990 erano già state scritte, lette e rilette, con tanto di avvertimento al Capo dello Stato in quanto provvedimento d’urgenza. Non a caso, lo stesso ministro dei Beni culturali Dario Franceschini si è recato al Colle giovedì, con la certezza degli scioperi in una tasca e, probabilmente, il decreto-lampo nell’altra.
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