Dopo il caso Quarto, Chi ne esce più forte? M5s o PD?

domenica 4 ottobre 2015

MARCO TRAVAGLIO MASSACRA MARINO DOPO LA SCOPERTA DEI 5 STELLE


L'Ignaro rampante di Marco Travaglio 
Onesto è onesto, Ignaro Marino, per carità. Solo, potrebbe stare più attento alle spese “istituzionali” con la carta di credito del Comune: il noleggio di limousine nelle varie trasferte americane o i pranzi di lusso a Roma con delegazioni di trapiantologi che sostiene di dover allenare in vista delle udienze papali in Vaticano, ecco, insomma, destano qualche piccola perplessità. Le ferie in America sono un suo diritto e attaccarlo anche per quelle non ha senso. Però, ecco, insomma, questa continua spola di qua e di là dall’Atlantico, tipo pallina da flipper, fa un po’ specie: ma benedett’uomo, se ti piacciono così tanto gli States, chi te l’ha fatto fare di candidarti a sindaco di Roma, città inequivocabilmente sita in Italia? Un comune americano, a cercar bene, lo trovavi sicuro, anche se è meno certo che gli abitanti ti avrebbero eletto sindaco per disperazione (il privilegio di esser governati nell’ordine da Signorello, Giubilo, Carraro, Rutelli, Veltroni e Alemanno non è mica di tutti).
Sorvoliamo – per carità di patria e perché ieri le han già riassunte Antonio Padellaro e Selvaggia Lucarelli - sulle continue gaffe che costellano la sua sindacatura: tipo precipitarsi a Filadelfia per accogliere il Papa che di solito sta a poche centinaia di metri dal Campidoglio e tutto si aspetta fuorché di essere accolto a Filadelfia dal sindaco di Roma; o insegnare a Papa cosa deve dire il Papa; o rispondere alle polemiche sui due soggiorni ravvicinati in America annunciandone un terzo. E concentriamoci sulle possibili cause cliniche della precipitosa e preoccupante deriva cabarettistica che sta mettendo a dura prova i nervi dei residui sostenitori. Soprattutto del presidente Pd e commissario romano Matteo Orfini, sempre più simile all’ispettore Dreyfus, capo dell’ispettore Clouseau: ogni volta che Marino apre bocca, cioè dieci volte al giorno prima e dopo i pasti, Orfini è sempre sul punto di abbatterlo a revolverate o di murarlo vivo in un sottoscala; ma non può, perché poi si andrebbe a votare e già si sa chi vincerebbe, e soprattutto chi perderebbe. Il che spiega la giuliva spensieratezza con cui l’allegro chirurgo va ogni giorno al massacro, sfracellandosi su selve di microfoni e telecamere, inventando gaffe troppo perfette per non essere studiate a tavolino, nell’olimpica certezza che niente e nessuno lo può toccare. La patologia che pare affliggerlo è ancora in fase di studio, ma gli esperti propendono per la “sindrome Deschanel”.
Paul Deschanel era un politico francese, membro dell’Académie Française, deputato dal 1885 e due volte presidente della Camera, fino al 1920, quando fu eletto presidente della Repubblica. Purtroppo durò solo sette mesi, dal 17 gennaio al 21 settembre, quando dovette dimettersi per presunti problemi di squilibrio mentale. Secondo alcuni, la più alta carica della Repubblica gli diede alla testa; secondo altri, deluso dagli scarsi poteri presidenziali, si finse pazzo per farsi cacciare. Come il barone rampante di Calvino, Deschanel passava gran parte delle giornate appollaiato sugli alberi del parco dell’Eliseo, dove si faceva portare le leggi da promulgare dal primo ministro, i membri del governo e gli alti funzionari. Ed era solito firmarle con la N di Napoleone o con la V di Vercingetorige. Un giorno ricevette il corpo diplomatico in giardino e davanti a tutti si arrampicò come uno scoiattolo sull’albero più vicino, arringando da un ramo le attonite feluche. Un’altra volta scrisse una lettera per dimettersi dal suo matrimonio.
Spesso nuotava vestito nel laghetto, in compagnia di cigni e anatre che intratteneva in amabili conversari. Il 24 maggio 1920, atteso a Montbrison per inaugurare il monumento a un eroe di guerra, partì nel pomeriggio in treno da Parigi. Ma quando il convoglio giunse a destinazione, tra l’altro con notevole ritardo, a sera inoltrata, le autorità incaricate di accoglierlo con tanto di banda del paese scoprirono con somma sorpresa che, a bordo della carrozza presidenziale, il presidente non c’era. Ore di ricerche frenetiche, timori di un rapimento, telegrammi alle prefetture delle città toccate dal treno. A notte inoltrata si scoprì che Deschanel s’era assopito nel wagon-lit con l’aiuto di antidolorifici e sonniferi. Ma poi – sentendosi soffocare dal caldo o in preda al sonnambulismo – aveva pensato bene di prendere una boccata d’aria alla finestra di un portellone che non era ben chiuso ed era precipitato dal treno in corsa in aperta campagna.
Ferito e rintronato, aveva vagato per ore in pigiama, finché s’era imbattuto in un ferroviere addetto alla manutenzione delle rotaie. E aveva tentato di convincerlo di essere il Presidente della Repubblica. Quello l’aveva scambiato per un barbone ubriaco e se l’era portato a casa per medicarlo. Lì la moglie aveva capito che non era un clochard quando gli aveva levato le scarpe, notando che “aveva i piedi puliti e ben curati”. E aveva avvertito la Gendarmerie, che aveva recuperare il capo dello Stato riportandolo all’Eliseo. Deschanel rassegnò subito le dimissioni, ma fu convinto dal premier Millerand a ritirarle. Almeno fino a settembre, quando si dimise irrevocabilmente per motivi di salute, con una lettera al Parlamento troppo lucida per venire da un pazzo. Infatti, dopo appena tre mesi di sanatorio, guarì e fu eletto senatore, prima di essere stroncato nel 1922 da una grave malattia, stavolta vera.
Ecco, se puta caso Marino firma una delibera “N” o “V”, o si arrampica su una pianta, quello è il momento di intervenire.

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