Scrive l'economista Lidia Undiemi per il.Fatto.Quotidiano
"Che le dichiarazioni del ministro Giuliano Poletti nascondessero l’intenzione del Pd di continuare ad attaccare i diritti dei lavoratori, facendo un favore alla Troika e alle multinazionali, lo avevamo già capito con il Jobs act.
Adesso arriva Filippo Taddei a provare a far digerire il tentativo di smantellare ulteriormente il contratto collettivo nazionale e altri diritti. “Una parte dello stipendio può essere riproporzionato sulla base della produttività, come già succede in molti casi”, afferma il responsabile economico del Pd. Per questo intendono presentare due disegni di legge, uno riguardante il lavoro autonomo, e l’altro, invece, il lavoro dipendente.
Adesso arriva Filippo Taddei a provare a far digerire il tentativo di smantellare ulteriormente il contratto collettivo nazionale e altri diritti. “Una parte dello stipendio può essere riproporzionato sulla base della produttività, come già succede in molti casi”, afferma il responsabile economico del Pd. Per questo intendono presentare due disegni di legge, uno riguardante il lavoro autonomo, e l’altro, invece, il lavoro dipendente.
Vi avevo già anticipato che le dichiarazioni di Poletti non si riferivano soltanto al lavoro dipendente a cottimo, ma anche al lavoro autonomo. Iniziamo da quest’ultimo per comprendere la sorpresina che potremmo trovare nelle nuove leggi.
C’è anzitutto da chiedersi cosa c’entra l’assenza di vincoli di orario e di luogo con il lavoro autonomo che per definizione non dovrebbe averne. La risposta la troviamo nel Jobs act, che ha eliminato il lavoro “a progetto” (che a sua volta aveva sostituito i co.co.co), per introdurre una nuova forma di collaborazione coordinata ibrida, una specie di “mostro” giuridico che, pur considerando il lavoratore come un collaboratore autonomo, di fatto lo assoggetta al potere direttivo del committente (datore di lavoro sarebbe più corretto a questo punto).
C’è anzitutto da chiedersi cosa c’entra l’assenza di vincoli di orario e di luogo con il lavoro autonomo che per definizione non dovrebbe averne. La risposta la troviamo nel Jobs act, che ha eliminato il lavoro “a progetto” (che a sua volta aveva sostituito i co.co.co), per introdurre una nuova forma di collaborazione coordinata ibrida, una specie di “mostro” giuridico che, pur considerando il lavoratore come un collaboratore autonomo, di fatto lo assoggetta al potere direttivo del committente (datore di lavoro sarebbe più corretto a questo punto).
Un lavoro (autonomo) con meno diritti e comunque eterodiretto, ma stavolta a norma di legge. Le nuove collaborazioni, ai sensi dell’art. 2 del Dlgs n. 81/2015, consistono in una prestazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa e con modalità di esecuzione organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Esattamente il contrario di quello che sostengono adesso! Per queste collaborazioni, stabilisce la medesima legge, verrà applicata la disciplina del lavoro subordinato. Quindi, hanno creatoun lavoro autonomo di fatto subordinato per applicare le tutele di quest’ultimo.
La spiegazione di questa apparente incoerenza la troviamo nel comma successivo, che dispone delle deroghe a questo principio qualora vengano stipulati accordi sindacali inerenti “il trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”, cioè deroghe alle tutele standard. L’eccezione chiaramente sarà la regola e, a conti fatti, le imprese potranno usufruire di lavoratori dipendenti, ma assunti con contratti che consentono deroghe ai diritti, già indeboliti, dei lavoratori (formalmente) dipendenti.
Certo, questo non chiarisce sino in fondo come possano dichiarare di volere un lavoro libero da vincoli di orario e di luogo (lo chiamanosmart working, per chi vuole fare il figo) visto che hanno appena creato collaborazioni che prevedono proprio questi vincoli. In tal modo verranno ostacolati quei lavoratori con finti contratti autonomi che potrebbero decidere di rivolgersi al giudice del lavoro per chiedere la conversione in rapporto di lavoro dipendente. Queste vertenze, guarda caso, hanno dato non pochi problemi, specialmente alle grandi aziende.
Riguardo invece alla possibilità che questi obiettivi possano colpire il lavoro dipendente, s’intravede un ritorno al cottimo (visto con sfavore dai CCNL) in nome di una innovazione tecnologica che, nella realtà, nulla toglie e nulla aggiunge al fatto che certi lavori per loro natura sono vincolati al rispetto di orari di lavoro, intendendo per tali non soltanto l’ingresso e l’uscita dall’ufficio ma anche itempi della prestazione, spesso rigidamente determinati dagli applicativi informatici, come accade ad esempio nei call center.
Le imprese vogliono lavoratori senza vincoli di orario e di luogo di lavoro? Bene, assumano collaboratori autonomi! Ah no, questi no, li abbiamo appena vincolati a rispettare orari e luoghi di lavoro! E’ abbastanza evidente che si vuole semplicemente scardinare alla base la ragion d’essere stessa del diritto del lavoro e del Contratto Collettivo Nazionale. Lavoratori sempre più divisi, lavoratori sempre più deboli. I sindacati dovrebbero protestare con tutte le loro forze contro questo ulteriore attacco.
Attendiamo i decreti."
Attendiamo i decreti."
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