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lunedì 16 novembre 2015

Allarme terrorismo dell'intelligence per Papa Francesco in visita in Repubblica Centrafricana il 29 novembre


C’è un allarme molto serio per la possibilità di un’azione terroristica della Jihad nella Repubblica Centroafricana, dove Papa Francesco ha deciso di anticipare l’apertura del Giubileo nella cattedrale di Bangui, il prossimo 29 novembre. Secondo alcuni servizi d’intelligence europei ma soprattutto secondo i francesi, che in quel paese poverissimo e instabile hanno antenne potenti, il rischio di un attentato è altissimo e bassissima la capacità delle forze di sicurezza locali di prevenirlo e di stringere una cintura di protezione sufficientemente affidabile intorno alla cattedrale e alla folla che vi si radunerà.
Il Papa è stato informato di questo pericolo, ma avrebbe declinato con fermezza ogni ipotesi di cancellare il viaggio. E in questi giorni gli apparati di sicurezza della Santa Sede hanno già inviato a Bangui un team per verificare tutte le opzioni necessarie a tutelare l’incolumità del pontefice e ridurre il più possibile i rischi per i fedeli che vi si riverseranno in occasione di questo evento che per la Chiesa africana è considerato epocale. Sono previste decine, centinaia di migliaia di pellegrini dalle varie regioni della Repubblica Centroafricana e dagli stati confinanti (Ciad, Camerun, Sudan, Sud Sudan Congo), dove negli ultimi anni si sono installati a macchia di leopardo (soprattutto nel Sudan islamista) gruppi di jihadisti che si ispirano all’Isis e a Boko Haram.
Ma se per l’anticipo africano del Giubileo l’allarme è molto serio, non meno serio è lo scenario di fronte al quale si trovano gli apparati d’intelligence e di polizia rispetto al seguito dell’Anno della Misericordia proclamato da Papa Francesco, che comincerà l’8 dicembre con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro e andrà avanti fino al 20 novembre 2016. Gli attentati di Parigi hanno modificato radicalmente ogni previsione. E nel corso del doppio vertice sulla sicurezza di sabato, è stato sostanzialmente deciso di agire su tre livelli.
Primo livello. Massimo controllo del territorio, aumento visibile della presenza delle forze di polizia nella città (riguarda anche Milano), ricorso ad ogni mezzo e strumento di prevenzione e repressione senza sconti contro gli elementi ritenuti pericolosi (controlli, perquisizioni, provvedimenti di espulsione). Insomma, una strategia “muscolare” che ha lo scopo di dare un messaggio di rigore estremo a terroristi e fiancheggiatori, con l’obiettivo di tagliare le gambe ad ogni possibile progetto di azione nella capitale e nel resto del paese.
Secondo livello. E’ la parte più delicata della strategia discussa nei due vertici: come “preparare” la popolazione alla possibilità che un attacco possa comunque avvenire, perché nessuna misura di prevenzione può escluderlo. Tutelando da una parte la normalità della vita quotidiana e dall’altra trasmettendo alla gente la necessità di mantenere alta l’attenzione in tutti i luoghi pubblici.
Terzo livello. Aumento esponenziale dell’attività d’intelligence, sia nel settore umano che in quello informatico. Ma qui si tratta anche di risorse aggiuntive in termini di personale addestrato e strumenti. Posto che ormai i terroristi hanno scartato da tempo i sistemi tradizionali di comunicazione, arrivando a passare informazioni tra cellule e singoli individui utilizzando i videogiochi o anche siti di acquisti online. E il monitoraggio è diventato molto difficile.
A differenza di quanto sta drammaticamente accadendo da un anno in Francia, non ci sono segnali concreti di possibili azioni in Italia. Tuttavia, questo rischio è connesso alla nostra politica in zona di guerra (Siria, Iraq). Se dovessimo aderire ai bombardamenti della coalizione con i nostri caccia, al momento impegnati in missioni di ricognizione, gli scenari potrebbero ribaltarsi. Ma si tratta di analisi in continua modificazione. E persino sulla notte di fuoco e morte di Parigi non ci sono interpretazioni univoche. Per molti si è trattato di un segnale di forza che l’Isis ha mandato alla Francia e all’Occidente. Secondo altri, è stato un segnale di debolezza da parte del Califfato: alzare il livello del terrorismo, ogni volta che sul terreno le cose vanno male. E che non stiano andando bene, lo testimoniano le perdite in Siria dove agiscono a tenaglia sulle roccaforti dell’Isis russi e iraniani e la caduta di Sinjar, tornata nelle mani dei curdi dopo una feroce battaglia che al momento ha di fatto tagliato buona parte delle linee di comunicazione del Califfato tra Siria e Iraq.

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