Garbato, compunto, un po’ azzimato, ma anche risoluto, convinto delle proprie idee e puntiglioso nell’esporle. Visto da vicino Luigi Di Maioè lo stesso che appare in tv, ormai sempre più spesso e sempre più riconosciuto come la voce più autorevole dei seguaci di Beppe Grillo. Una specie di contro eroe dell’arruffato fondatore e nemesi necessaria alle nuove aspirazioni governative del Movimento. Di Maio è uno di quei ragazzi che nel secolo scorso sarebbe stato un giovane apprendista della politica che cresce all’ombra di qualche notabile democristiano, destinato prima o poi a trovare il suo posto nelle cordate del potere. Oggi, nell’epoca del fai da te (o al massimo con l’aiuto di quattro amici), è forse proprio questo suo stile retrò a farne la fortuna mediatica presso un pubblico frastornato dalle troppe novità chiassose. Ed è forse anche uno dei motivi per cui, inserito per la prima volta tra i nomi di un sondaggio Demos sulla popolarità dei leader, ha conquistato 28 punti su cento, appena tre in meno di Grillo. Quando lo incontriamo, per un colloquio dove si concederà anche qualche abbandono all’ironia e alla confidenza, non possiamo che cominciare da questo suo personalissimo successo.
Di Maio, che cosa ha pensato trovandosi di colpo tra i leader nazionali?
«Wow!»
Potrebbe articolare meglio l’entusiasmo?
«Mi lasci scherzare, perché la verità è che questo risultato dimostra due cose. La prima è che ormai il nostro movimento è considerato forza di governo e non è più condannato all’opposizione. La seconda è che noi sediamo su una panchina lunga».
Spieghi la metafora.
«Oggi fanno sondaggi su di me, ma se li facessero su altri volti del movimento ci sarebbero gli stessi risultati. Noi ci guadagniamo la fiducia dei cittadini con un lavoro di squadra. E poi non credo di essere un condottiero».
Che cos’è?
«Per caso o per necessità, una figura più istituzionale. Mi sono trovato ad essere il vicepresidente della Camera, l’ho fatto nel pieno rispetto delle regole, pur senza rinunciare mai alle nostre posizioni, e ho contribuito a sfatare la fama di barbari che ci avevano cucito addosso. La nostra è una rivoluzione, ma una rivoluzione gentile».
È questa la formula che ha funzionato nella campagna elettorale?
«Sì, e abbiamo dimostrato di essere sempre più radicati nel territorio e di stare costruendo una base come quella che Renzi ha distrutto nel suo partito. Ho visto vecchi amici del Pd strappare le tessere, so per certo che parte del mondo della scuola ha votato per noi, mentre le nostre piazze hanno cominciato a riempirsi anche di persone anziane».
Gli anziani vi hanno conosciuto soprattutto in tv. Questa volta avete riempito talk show e telegiornali. Tutte facce giovani e Grillo oscurato. È stata una scelta?
«È stato un modo per rendere evidente che c’è una nuova classe dirigente. Un anno fa non avrei osato pensare che avremmo affiancato, ripeto affiancato, Grillo in una campagna elettorale».
Quindi non è vero che è in corso un parricidio strisciante?
«Chi ci spera, si sbaglia. Il movimento è unito e si sta evolvendo con naturalezza. Abbiamo vinto cinque ballottaggi su cinque e verificato che nel confronto diretto siamo molto forti. Questo apre nuove prospettive».
Sta dicendo che puntate al ballottaggio contro Renzi alle politiche?
«Non so se sarà contro Renzi, che ora trema e sogna di cambiare l’Italicum. Ma, ammesso che resista, questi risultati ci dicono che andremo al secondo turno e vinceremo».
E lei farà il premier...
«Non corra. Siamo diversi anche in questo. Presenteremo in tempo l’intera squadra di governo, premier compreso, e la gente saprà per chi sta votando e per quali incarichi. Non faremo alleanze e pastette, né prima né dopo».
A proposito di alleanze, si è mai pentito di non aver accettato le proposte di Bersani a governare insieme?
«Intanto c’era il trucco: Bersani non voleva farci governare ma solo avere il nostro appoggio al suo governo. E poi quel rifiuto è stata la salvezza del Movimento perché ci ha permesso di sostituire la novità con la coerenza. E oggi sta fornendo agli italiani un’alternativa per quando cadrà questo teatrino».
Dimentica Salvini.
«È uno a cui gli italiani pagano lo stipendio da quando io avevo quattro anni. È uno di quelli che ha sostenuto i governi che hanno distrutto questo paese. Che credibilità nazionale vuole che abbia?»
C’è anche Landini e una coalizione che forse decollerà. Che ne pensa di lui?
«Non voglio sembrare quello che critica sempre, ma cambiare i volti non vuol dire cambiare il Paese. Si fa indietro Vendola e arriva Landini, viene scansato Letta e arriva Renzi, si toglie Bossi ed ecco Salvini. È la regola dell’iPhone 3,4,5,6. Io voglio essere sempre l’iPhone 3, ma voglio far telefonare le persone, non riempirle di app che non servono a niente».
Va bene, ha sistemato tutti. Ma lei non fa mai autocritica?
«Se vuole, le segnalo due grossi errori: non aver capito che dovevamo fare subito una comunicazione più aperta e non aver selezionato meglio le persone. Quelle che hanno cambiato partito hanno ceduto presto alle lusinghe che questo Palazzo dispiega in quantità».
Qualche dubbio, qualche tentazione, l’avrà avuti anche lei.
«Non vere tentazioni, anche perché so intercettarle in tempo. Per esempio, nei primi mesi di mandato non ho mai guardato il mio conto corrente. L’ho fatto solo quando ho restituito i primi 70 mila euro che sono andati al nostro fondo per le piccole imprese. Sapevo che quelle grosse cifre che si sommavano l’una all’altra potevano ubriacare uno che fino al giorno prima lavoricchiava in provincia di Napoli, con senso del dovere ma per pochi soldi».
Lei viene da una famiglia agiata. I suoi non potevano mantenerla?
«Ho sempre tenuto ad essere indipendente. Negli anni dell’università ho fatto a lungo il cameriere in una pizzeria di Pomigliano. Servivo a pranzo e il pomeriggio studiavo e mi occupavo del Consiglio degli studenti di Giurisprudenza, di cui ero presidente. Governavo 18 mila persone, quasi un paesotto, e in quel caso sì che fioccavano le tentazioni, anzi gli inviti espliciti».
Da parte di chi?
«Di tutti i partiti che provavano a tirarmi dentro le loro associazioni giovanili: Verdi, Ds, e soprattutto i commilitoni di mio padre, che era di Alleanza nazionale. Mi dicevano: “Tu sei in gamba, con noi farai strada”. Ma non mi interessava. Sembrava che stessi aspettando Grillo, che vidi per la prima volta nel 2007 e che mi conquistò con tre proposte che sono poi diventate il nostro codice etico: preferenze, limite di due mandati e via i condannati dal Parlamento».
Ha appena usato una parola antica: commilitoni. Come è stato il suo rapporto con un padre militante di destra?
«Non era questo che creava conflitto, ma la sua visione della politica incentrata sulla vecchia struttura di partito. Valeva per lui come per quelli del Pd, da cui ho preso anche un po’ di botte, documentate da un video, perché facevo domande scomode sulla questione morale. Insomma per me erano la stessa cosa. Ma se ci tiene, le dichiaro che sono antifascista».
Con sua madre andava meglio?
«Così così, ma per altri motivi. A un certo punto venne ad insegnare nel mio stesso liceo e ci fu addirittura una volta che accompagnò la compagnia teatrale della scuola in trasferta a Imperia. Rappresentavamo i “Carmina burana” e io facevo lo schiavo sotto gli occhi di mamma. Ricordo ancora l’imbarazzo».
Il suo aspetto e i suoi modi fanno pensare che non sia stato un tradizionale adolescente. È così?
«Bè, non sapevo giocare a pallone, non andavo allo stadio e neppure a ballare».
E che faceva?
«Quando tutti giocavano a pallone, io insegnavo ai miei professori a utilizzare i computer. Ma non creda che fossi un secchione noioso. Studiavo il necessario, ma mi sono diplomato con 100 su 100. E poi a 15 anni mi sono messo con una ragazzina e siamo stati insieme fino alla fine della scuola».
A proposito, lei sa di essere una specie di fidanzato d’Italia, di quelli educati che piacciono alle mamme e alle nonne?
«Non lo sapevo, ma se ho capito dove vuole arrivare, le dico subito che sono anche uno di quelli che non parla della sua vita privata».
Neanche se le dico che è piuttosto apprezzato dalle giovani leve del Parlamento, anche da qualcuno di sesso maschile?
«Questa poi... ha voglia di scherzare?»
Sarebbe così scandaloso?
«Sarebbe improprio. Sono eterosessuale».
Questo ci porta a sfiorare questioni che stanno infiammando le piazze. Come mai il movimento 5 stelle è così freddo su tutti quei temi etici divenuti centrali nelle democrazie mature?
«Perché abbiamo bisogno di affrontare il problema di dieci milioni di poveri, di fare il referendum sull’euro, di abolire Equitalia. Una volta risolte queste questioni potremo ragionare sul resto. Che comunque prenderemo in considerazione quando arriverà in Parlamento e sarà sottoposto al giudizio dei nostri iscritti».
Il tema dell’immigrazione però incombe. Come pensa che vada affrontato?
«Insistendo per la revisione del trattato di Dublino e stabilizzando la regione libica. Non sarebbe impossibile se i paesi che ora non vogliono accogliere i migranti, anzi ce li rimandano, smettessero di devastarla. La Libia è sottosopra perché la Total deve prendere il petrolio, questo è il punto. E voglio vedere Renzi che rinfaccia a Hollande il suo atteggiamento, invece di fare passerella con lui all’Expo».
Ancora una piccola curiosità: perché veste esclusivamente di blu?
«Perché ho due vestiti e casualmente sono entrambi blu».
Di ottima fattura però. Ha un sarto personale?
«Ma quando mai! Uno è di banale confezione. L’altro, quello più squillante, me lo ha fatto un sarto di Grumo Nevano per l’insediamento di Mattarella al Quirinale. Insisteva per regalarmelo, ma io sono del Movimento 5 stelle e sono riuscito a pagarlo».
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